Era il 25 Dicembre di un anno qualunque.
Ero di ritorno dalla classica abbuffata natalizia a casa di mia zia.
Parcheggiai l’auto sotto casa e decisi di fare due passi per smaltire i postumi del ricco pranzo.
Cominciai a camminare.
Mi accesi una sigaretta.
Tutti quegli addobbi, quelle luci abbaglianti, quelle stelle comete, quei babbo natale che volevano comunicarmi festa, che senso avevano?
Si parlava in maniera incessante di crisi da qualche mese, quindi non mi sembrava ci fosse troppo da festeggiare.
I notiziari dicevano che la nazione era alla bancarotta, che la gente era in rosso. Eppure qualcuno doveva averli questi benedetti soldi!
Tutto l’affanno legato ai regali, ai pacchi che c’era stato nei giorni trascorsi, non mi era apparso diverso da quello degli anni passati.
La gente aveva speso, comprato, mangiato, riempito i ristoranti, organizzato feste e viaggi.
Non sembrava avesse badato a spese eppure tutti si lamentavano che c’era crisi.
Qualcosa non mi quadrava.
A pranzo tutti gli invitati mi avevano coinvolto nei loro appassionanti discorsi su come lo Spread era cresciuto, come i Bot si erano svalutati, come l’inflazione stava lentamente prendendo il sopravvento e la recessione era alle porte.
Dicevano che bisognava stare accorti nello spendere, nell’investire e nel tutelare i propri capitali.
C’era ansia nei loro volti, preoccupazione, le attività commerciali non rendevano più come un tempo, i beni immobili si stavano svalutando, le aziende avevano cominciato a licenziare e qualcuno intravedeva lo spettro della cassa integrazione.
Però mangiavano, eccome. C’era crisi ma i loro bicchieri erano stracolmi di vino e spumante.
Credo non volessero pensare ma non ci riuscivano così bene e, a bocca piena, un poco alticci, si accanivano contro le banche che gli succhiavano denaro come sanguisughe e contro il governo che pretendeva nuove tasse, nuovi soldi dalle loro tasche.
Il loro vociare riecheggiava ancora, in maniera incessante, nella mia testa, così come quel leit-motiv chiamato crisi.
Mi avvicinai alla vetrina di un negozio di fumetti.
Era esposto il numero uno originale di Dylan Dog del 1986.
Costava 300 euro. 600 mila delle vecchie lire, pensai. Una bella cifra.
Avevo la seconda ristampa, chissà quanto valeva.
Oggi pomeriggio andando a riprendere il cappotto in camera di mio cugino l’avevo visto, come ogni natale, sullo scaffale della sua biblioteca: il numero uno, originale, incellofanato, senza una piega né una grinza, da esposizione.
Se avessi saputo che valeva 300 euro, gli avrei chiesto di prestarmelo, me lo sarei rivenduto e gliene avrei riportato uno tarocco. Tanto, sicuramente, non me lo avrebbe mai prestato. Glielo avrei dovuto rubare. Diamine, era pur sempre mio cugino: mi sarei sentito in colpa… Forse… Credo…
D’un tratto una voce alle mie spalle domandò: “Scusa mi fai accendere?”.
Mi voltai e vidi una donna di mezza età, sulla cinquantina, molto elegante.
Un cappotto rosso, un basco alla francese che copriva dei lunghi capelli neri, mossi.
Le feci accendere e notai che al guinzaglio teneva una scimmia con un berretto e un gilet rossi.
“Si chiama Mondo”, disse.
Sorrisi a Mondo ma lui non ricambiò.
“Capisco”, risposi. Feci finta di capire.
Rimisi l’accendino dentro la tasca della giacca.
“Non fartene un cruccio”, esclamò.
“Ehm…Su cosa?”.
“Su quei pensieri riguardanti la crisi che ti giravano in testa qualche minuto fa”.
Rimasi impietrito per un instante, poi le chiesi:
“Scusi, come fa a sapere a cosa stessi pensando qualche minuto fa, è forse una veggente, un maga, una strega o cos’altro?”.
Lei sorrise, diede un tiro di sigaretta e affermò:
“Sono io la Crisi, è di me che tutti parlano, piacere!” e allungò la mano destra per presentarsi.
Io, formalmente, ricambiai il gesto e le strinsi la mano.
“Non preoccuparti”, esclamò, “Sono sempre in crisi gli esseri umani, non dare eccessivo peso alle loro lamentele. Quando va bene vorrebbero che andasse meglio, quando va male, pensano sempre al peggio, quando non succede nulla si creano un problema appositamente. Non si accontentano mai, amano complicarsi la vita”.
“È vero!”, le feci, “Ma effettivamente i telegiornali, e anche oggi a tavola, i miei parenti, parlavano tutti di calo delle entrate, di conti correnti in rosso, di paura di uscir fuori dall’Europa, evidentemente un problema reale esiste?”.
“Cazzate”, disse lei.
“La Crisi è un’invenzione di voi uomini. Mi avete creata voi. Cioè io sono una proiezione delle vostre infinite esigenze, delle vostre assurde pretese. Del vostro essere perennemente insoddisfatti. Lo Spread, i Bot, le Borse, il deficit, sono tutti indici, strumenti economici che ha creato l’uomo per autoregolarsi, pur sapendo che queste misure statistiche, ciclicamente vengono superate in positivo o in negativo, in base all’andamento del Mercato, altra invenzione dell’uomo. Perché il famoso debito pubblico, di cui tanto si parla, non lo risanano i Politici, i Calciatori, il Vaticano, i Grandi imprenditori, i Presentatori della tv e tutti coloro che, strapagati, potrebbero togliersi, senza alcun problema, una fetta dei loro enormi introiti e riportare in equilibrio l’assetto economico del paese in un attimo?”.
Rimasi in silenzio per un momento, riflettendo su ciò che aveva appena detto… Come darle torto?
“E perché dovrei credere che lei è la Crisi? Cioè la vedo qui davanti a me, in carne e ossa, potrebbe essere chiunque, una professoressa di economia, di statistica, di matematica… Oppure una semplice cittadina molto informata, un po’ sui generis, che va in giro la sera di Natale con una scimmia al guinzaglio e dice di essere la Crisi”.
Lei soffiò del fumo, si allentò la sciarpa ed esclamò:
“Innanzitutto dammi del tu. Secondo poi tira fuori il cellulare e vai sul sito della borsa”.
Un po’ scettico, mi collegai a internet e cercai il sito.
“Ci sono!”, le dissi.
Bene, osserva attentamente gli indici e guarda come li faccio crollare in un attimo!”.
Schioccò le dita e disse: “Riaggiorna il sito!”
Lo feci e rimasi a bocca aperta: tutti i valori erano scesi sotto lo zero percentuale e le cifre erano evidenziate in rosso, segno di pericolo.
Poi schioccò nuovamente le dita ed esclamò: “Ora ricontrolla!”.
Sorprendente: era tornato tutto come prima… Gli stessi identici valori di un minuto precedente.
“Come hai fatto? Oggi è festa, le borse sono chiuse, dov’è il trucco?”.
“Ancora non mi credi? Io posso manovrare tutto, in ogni momento, da ogni luogo. Hai bisogno di un’altra dimostrazione? Riprendi il cellulare e vai…”.
“No no, tranquilla, ho capito, mi basta, ti credo. O meglio: sto cercando di capire la logica e il senso di tutto ciò. Perché stai dicendo queste cose proprio a me? A cosa devo questo incontro? ”.
“Perché tu sei diverso. Ho scelto di incontrare te perché a te non interessa dei soldi, dell’andamento dei mercati e dell’economia in generale, o meglio, non in modo morboso. Ti ho osservato attentamente in questi giorni e ho constatato che guardi il mondo con quel giusto distacco. Lo stesso distacco che molti dei tuoi simili dovrebbero avere. I soldi necessari per vivere, qualche risparmio da parte, ti godi la vita nelle piccole cose. La vivi. Non ti affanni correndole dietro. Non ti prende un colpo se un indice crolla, non ti scomponi se il prezzo della benzina aumenta o se il costo della vita appare più caro. Tu t’ingegni, trovi la soluzione, l’escamotage per fregarla la vita e spesso ci riesci. Ho stima di te”.
“Quindi tu che dici di esser la Crisi sei venuta da me per dirmi che mi stimi?”.
“Esatto!”.
“Non mi convinci, ci sarà un altro motivo. Ti sei scomodata per venir qui solo a dirmi che hai stima di me? Non la bevo”.
“Sono venuta per offrirti una grande chance. Sai, sono una donna e non ti nego che mi piace dirigere le sorti degli esseri umani, soprattutto di voi maschietti. Fate tanto i gradassi con i soldi in mano, con quei macchinoni, con le barche da milioni di euro ma poi appena vi capita qualcosa, una disgrazia, un empasse, diventate così docili, mansueti, prevedibili, cominciate a imprecare e poi a pregare e infine a frignare come bimbi. Siete così fragili, così piccoli… Mi fate molta tenerezza. A volte anche tanta tristezza. Ho pietà di voi. Sono una giocatrice d’azzardo, perciò ho deciso di dare a te una grande possibilità, quella di cambiare le sorti del tuo paese, di mandarmi in vacanza per un po’ di tempo. Dieci anni. Per dieci lunghi anni puoi riportare il benessere nel tuo paese, la rinascita economica e il sorriso sulle bocche delle persone.
D‘altronde è Natale e anch’io ho deciso di fare un dono a qualcuno: all’umanità, passando per te”.
Riflettei: “Beh, che dirti, mi sento onorato. Ma cosa dovrei fare per garantire questo premio per l’umanità?”.
“Tre carte, un solo tentativo. Se indovini tolgo le tende, se perdi rimango”.
“Cioè mi stai dicendo che devo giocare al gioco delle tre carte?”.
“Esatto”.
“Cioè scherziamo? Mi dovrei giocare dieci anni di benessere e prosperità per l’Italia con il gioco delle tre carte? Mi sembra assurdo”.
“Te l’ho detto mi piace l’azzardo e anche vedervi soffrire. Sono un po’ sadica”.
“Mettiti per un attimo nei miei panni, è una bella responsabilità”.
“Ma io non desidero mettermi nei tuoi panni, ho solo voglia di giocare con te!”.
“Assurdo. Mi stai davvero chiedendo di giocare contro di te?”.
“Non contro di me, contro Mondo”.
“Con chi? Con la scimmia?”.
“Esatto”, rispose, sorridendo. “Ogni tanto ha bisogno anche lui di uno svago. Sai, si annoia tanto e poi, a lui, piacciono molto le carte. L’ho anche mandato a un corso per croupier e ora dovresti vedere come le mescola con destrezza. Vero amore?”.
Si girò in direzione di Mondo e gli fece una coccola.
La Scimmia cominciò a gridare dimenandosi dalla gioia.
Io la guardai, la scimmia, mi ricordò qualcuno anche se non saprei dire esattamente chi.
“Ok, accetto”, dissi, “Dove, come e quando?”
“Subito”, disse lei, “Qui.”.
Schioccò le dita e comparve un banchetto. Rischioccò le dita e apparve un mazzo di carte. Lo diede a Mondo che le cominciò a mischiare in modo tecnico e artistico.
Forte Cheeta, pensai. Ecco chi mi ricordava: Cheeta, l’amica di Tarzan. Uguale identica, con in più solo il berretto e il gilet rossi.
Mondo estrasse tre carte, random, dal mazzo, me le fece guardare, erano tre assi:
Cuori, picche e quadri.
“Voglio picche!”, disse la Donna, guardandomi.
“Ok”, dissi io, “Troverò Picche!”
Mondo mi fece osservare, per un’ultima volta le tre carte, io memorizzai l’asso di picche, l’ultima carta alla mia destra e poi cominciò a mescolare.
Inizialmente riuscii a seguire con gli occhi la mia carta ma poi la scimmia cominciò ad andare a una velocità pazzesca, così la persi.
La donna ordinò a Mondo di fermarsi.
La scimmia si stoppò e dispose le tre carte coperte sul banchetto.
“L’hai persa vero?”.
“Quasi subito. Quando il tuo chihuahua ha messo il turbo non l’ho più vista”.
“Buttati allora!”.
La guardai con aria seccata: “Per forza, non ho altra scelta”.
Battei forte la mano sulla prima carta a destra, forse perché era lì l’ultima volta che l’avevo veduta o forse perché speravo di ritrovarla magicamente nello stesso punto.
“Girala!”, disse lei rivolta alla scimmia.
Mondo voltò la carta.
Era l’asso di quadri.
La donna cominciò a ridere.
“Ahahahahahahahahah, hai perso! Ahahahahahahahahah pensavi di vincere!
Ahahahahahahahahah poverino quanto mi dispiace! Ahahahahahahahahah”.
Rideva forte, in modo sguaiato, quasi per screzio, senza pudore.
“Ma sei proprio una stronza!”, esclamai.
“Lo so”, disse, “Ahahahahahahahaha”, continuando a ridere.
Mi stava umiliando: oltre il danno, pure la beffa.
Smise di ridere, Mi fissò e disse:
“Sei davvero scarso, la prossima volta giochiamo a nomi, cose e città, che forse lì hai più possibilità di battermi”.
La guardai seccato. Stava esagerando.
Mi sorrise in modo sarcastico, poi rivolgendosi a Mondo esclamò: “Andiamo amore, lasciamolo qui il perdente”.
Si strinse la sciarpa attorno al collo, e cominciò a camminare con la scimmia al guinzaglio.
Con lo sguardo la seguii fino all’incrocio, poi voltò l’angolo e sparì.
Rimasi lì immobile e mi accesi una sigaretta.
“Che puttana”, pensai, “Ma chi diavolo si crede di essere?”, “Ma poi chi caspita è, chi la conosce?”.
D’un tratto l’occhio mi cadde sul banchetto.
Lo avevano dimenticato lì, con sopra l’asso di quadri scoperto e le altre due carte ancora coperte.
Soffiai una boccata di fumo e girai la carta centrale.
Era un asso di quadri.
Allora, velocemente, scoprii anche l’ultima carta: un altro asso di quadri.
“Mi hanno fregato”, dissi ad alta voce.
“Che stronzi maledetti!”, urlai.
Con il suo gioco di zampe, così rapido e veloce, quella scimmia bara mi aveva ipnotizzato e aveva fatto sparire l’asso di cuori e quello di picche sostituendoli, non so come, con altri due assi di quadri. E quella donna sapeva tutto.
Diedi un calcio al banchetto e lo feci volare in aria.
Poi mi voltai e cominciai a camminare.
Tornavo verso casa e nell’aria natalizia continuavo a percepire ancora quella maledetta sensazione sgradevole di non festa, di tristezza.
Finalmente avevo chiaro il perché tutti parlassero e si lamentassero di questa maledetta crisi.
Perché era davvero una grande fottuta puttana!
(Dal Libro “Se Rinasco Voglio Essere Yoko Ono”: http://www.ibs.it/code/9788898149018/ratini-jacopo/se-rinasco-voglio-essere.html)
2 commenti su “La donna con la scimmia al guinzaglio (J. Ratini)”
molto bella ed interessante! Ciao Jacopo….messaggio natalizio ricevuto! Luì
Grazie di cuore Luigi